Ilva, pene troppo basse: no del giudice al patteggiamento di Adriano Riva e nipoti

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Troppo basse le pene concordate tra la Procura di Milano e i difensori di Adriano, Fabio e Nicola Riva, indagati per il crac del gruppo Riva Fire, che controllava lo stabilimento Ilva di Taranto. Il gip di Milano, Maria Vicidomini, ha respinto le tre richieste di patteggiamento che avevano già incassato il via libera dei pm Mauro Clerici e Stefano Civardi. Le proposte di pena avanzate dagli indagati sono infatti "incongrue" rispetto alle condotte contestate, secondo il giudice milanese che per questo non ha ratificato i patteggiamenti. Il via libera al patteggiamento è legato allo sblocco di oltre 1.3 miliardi di euro depositati in Svizzera e da destinare al risanamento dello stabilimento. 

Le pene erano state concordate nei mesi scorsi e dopo lunghe trattative con la Procura di Milano, nell'ambito dell'inchiesta per bancarotta condotta dalla Gdf con al centro il crac del gruppo Riva. L'accordo raggiunto, al fine del rientro dall'estero del miliardo e 300 milioni di euro destinati al risanamento ambientale dello stabilimento di Taranto, tra i pm Stefano Civardi, Mauro Clerici e il procuratore della Repubblica Francesco Greco. La difesa di Fabio Riva prevedeva la concessione della continuazione tra una condanna già definitiva per associazione per delinquere (nello stesso processo, invece, l'accusa di truffa dovrà essere rideterminata in appello, come stabilito dalla Cassazione) il reato di bancarotta. Per Fabio, uno dei due figli di Emilio, l'ex patron del gruppo scomparso nel 2014, la pena finale si aggira tra i 4 e i 5 anni. Per Nicola Riva, altro figlio di Emilio, da quanto è stato concordato tra i pm e i legali l'entità della pena non dovrebbe superare i 2 anni.  Adriano Riva, 86 anni, cittadino canadese residente in Svizzera, invece, accusato di bancarotta, truffa e trasferimento fraudolento di beni aveva raggiunto l'accordo a 2 anni e mezzo. Tali pene per il gup Vicidomini sono "incongrue". Inoltre tra i motivi del rigetto c'è anche il fatto che il miliardo e 300 mila euro erano stati sequestrati, in riferimento al reato di riciclaggio allora contestato e non ai reati di cui i Riva rispondono nel procedimento trattato oggi.  

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